BIRZEIT. Radio Shabab: la prima radio comunitaria in Palestina

DI SARA MUSA 

Gianni Toma del COSPE, racconta a Media aid i successi e le difficoltà, di Radio Shabab, emittente nata nel 2007 per dare voce ai giovani e alle comunità di Birzeit e Ramallah

Perché avete deciso di realizzare proprio una radio?

La scelta di aprire una radio comunitaria è nata da una specifica esigenza espressa dalla Palestinian Youth Union (PYU). Cospe e PYU operano ormai da diversi anni, insieme, nei Territori Occupati Palestinesi per dare voce ai giovani e alle donne, due componenti sociali che hanno senz’altro molto da esprimere in termini di proposte e visioni per il futuro della società palestinese, ma che non hanno sufficiente riconoscimento e spazi per poterlo fare, a causa di un sistema politico e di potere tradizionalista, che privilegia uomini e adulti.

Quali difficoltà avete incontrato quando avete creato questa Radio?

E’ stata la prima esperienza in assoluto di radio comunitaria in Palestina, per cui i primi problemi sono stati di carattere burocratico. In realtà la legge non prevedeva, ma neanche vietava, l’esistenza di una radio che non fosse gestita da una private company con fini di lucro. Quindi ci siamo “inseriti” tra la maglie di questa legislazione e, con pazienza e fatica, soprattutto da parte del PYU, dopo diversi mesi, sono giunte le autorizzazioni e le frequenze per iniziare le trasmissioni. Il resto forse è stato più semplice: la popolazione delle aree di Ramallah e Birzeit, dove la radio ha sede, hanno accolto con favore questo “strano” modo di fare radio e di trattare i temi sociali e politici. L’entusiasmo è stato davvero contagioso, anche per noi .

Quali difficoltà ancora incontrate?

La principale difficoltà, come è facile immaginare, è quella di carattere finanziario, che si è acuita in questo momento di recessione mondiale. Non riusciamo a garantire una solidità occupazionale ai giornalisti della radio, che, quindi, una volta raggiunta una certa professionalità, spesso trovano altre opportunità più remunerative e lasciano la radio. In verità questo un po’ ci lusinga perché significa che Radio Shabab FM è una buona palestra per giovani giornalisti consapevoli. La scarsezza di risorse, inoltre,  non ci permette la sostituzione rapida del materiale obsoleto e mal funzionante, riducendo così la qualità delle trasmissioni e delle produzioni. Purtroppo oggi dobbiamo registrare una riduzione dell’area di trasmissione, inferiore ai 15 Km di raggio intorno a Ramallah, meno di quando abbiamo iniziato le attività.

Come si sostiene la Radio?

Per i primi tre anni abbiamo contato sulle risorse finanziarie di un progetto cofinanziato dalla UE, che copriva l’80% dei costi. Successivamente abbiamo potuto attingere ad altri fondi, tra cui quelli di UNDP, del Ministero degli Affari Esteri italiano, delle regioni Emilia Romagna, Toscana e Lazio, della Provincia di Bolzano, dell’Otto per mille della Tavola Valdese, della fondazione svedese Olof Palme e di altri donatori internazionali. Tuttavia è davvero difficile pensare ad una sostenibilità slegata dai fondi dei donatori internazionali, per il livello di Radio Shabab Fm e per i temi che tratta. Il mercato della pubblicità ci è anche precluso, in quanto le altre radio, che attraggono gli inserzionisti, possono garantire una copertura su tutto il territorio palestinese, contando su maggiori capitali, e quindi su  ripetitori del segnale ed anche su più frequenze. I contributi volontari delle comunità  non arrivano perché in Palestina, da molti anni, vengono inviati e spesi fondi della cooperazione internazionale.Di conseguenza, le persone hanno un po’ svanito il senso dell’appartenenza e della partecipazione alle iniziative di carattere sociale. Si presume che, chi è in grado di avviarle, di sicuro gode di fondi di donatori internazionali, per cui non deve chiedere niente in cambio.

A chi si rivolge Radio Shabab?

A chiunque, trattando essenzialmente temi sociali di interesse comune e proponendo programmi di approfondimento che, di volta in volta, interessano specifici settori sociali, di età o di genere.

Tuttavia il principale gruppo di riferimento sta nel nome stesso della radio: Shabab significa ragazzo, giovane. Del resto, giovani sono i redattori e i volontari, giovani sono i tirocinanti accolti a Radio Shabab FM dalla Facoltà di Media e Comunicazione dell’Università di Birzeit, giovane è il pubblico che  maggiormente partecipa ai microfoni aperti e ai programmi in diretta.      

Qualche esempio sulle tematiche trattate?

Tre anni fa il campo profughi di Jalazon ha avuto un serio problema di rifornimento d’acqua e gli abitanti del campo hanno attivato un battage attraverso la radio, che immediatamente si è messa a disposizione, ed in pochi giorni è stato risolto il problema Stessa cosa per il servizio di trasporto pubblico in alcuni villaggi e per garantire informazioni immediate e di prima mano, come è successo durante la sanguinosa operazione Piombo Fuso realizzata dall’esercito israeliano. In quella occasione Radio Shabab ha stretto un accordo con una radio della Striscia di Gaza per garantire le informazioni. La radio ha seguito anche un’iniziativa cinematografica, ha prodotto una sit-com radiofonica,  mette a disposizione  un pediatra che risponde in diretta agli ascoltatori, trasmette programmi per bambini e per giovani.Nell’estate 2010, ha coperto il Festival itinerante di Shashat, la più significativa iniziativa di cinema al femminile realizzata nei Territori Palestinesi.

In poche parole il palinsesto è centrato su programmi di servizio per i cittadini, informazione, approfondimenti su temi sociali, spazi aperti alla società civile, cultura, ed ovviamente tanta musica.         

Chi sono le persone che lavorano a Radio Shabab? Persone del luogo?

Sono essenzialmente giovani, che spesso si avvicinano alla radio in modo volontaristico, perché magari sono membri di una delle associazioni che ha contatti diretti con la radio, o si propongono per un tirocinio formativo. Poi magari restano come volontari più stabili o come redattori. Si tratta di persone del luogo, anche se per “luogo” abbiamo voluto evitare di intendere strettamente le aree di Birzeit e Ramallah. Quindi, palestinesi in generale. 

Avete formato il personale? Fate ancora formazione?

Il personale con cui siamo partiti è stato formato con 12 corsi di formazione, tenuti da esperti locali e dagli esperti dell’ AMIS di Roma, agenzia con cui abbiamo condiviso i primi tre anni di vita della radio. La formazione ha riguardato diversi macro-temi: giornalismo, produzione e post produzione, manutenzione, internet, democrazia e partecipazione. Per i primi tre anni, i redattori e i volontari sono stati seguiti da due tutor: un giornalista e una donna esperta di processi partecipativi. La formazione viene ancora fatta, ma oggi in maniera più informale: abbiamo una sorta di training on the job, con i nuovi volontari che vengono accolti e seguiti dai redattori e dai volontari più anziani.  

Che rapporto c’è con le altre radio comunitarie?

Siamo ancora l’unica radio formalmente riconosciuta come radio comunitaria dalle autorità palestinesi. Ci sono esperienze assimilabili, come Radio Nisaa FM, radio tutta al femminile nata da un paio d’anni, o il Palestine News Network (PNN) che ha un  forte orientamento al sociale, o l’agenzia IMEMC, o altri media center. Purtroppo, però, queste realtà fanno fatica a relazionarsi per una progettazione comune e per far evolvere in Palestina la creazione di un soggetto associativo, consortile o sindacale tra giornalisti e media che credono nella libera informazione e che si occupano dei temi sociali.   

 

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